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Da Aprileonline, 15 maggio 2009

Testo e disegni di Renzo Francabandera

 

Teatro. Pose da cinema muto degli anni Venti, trucco da trans e fermi immagine a-là-Pazienza per la messa in scena del delirante testo di Copi: quattro dannate, rinchiuse in una capanna in Alaska nel loro viaggio lisergico, un non racconto di finte uccisioni e finali a catena per una fine che non arriva.

 

Viale Monza 10. Come le quattro gemelle che portano in scena, colpito io dal loro lavoro precedente Line, e loro dalla mia curiosità. Sono al Festival di Berlino quando ricevo l'invito di PhoebeZeitgeistTeatro ad una delle prove aperte del loro ultimo spettacolo, "Le quattro gemelle" di Copi. Tre soli giorni possibili. Il 10 torno, l'11 ho già un altro spettacolo. Il 12 vorrei dormire! Ma è più forte di me: "Mi segni due posti per il 12".

Ora?

Alle 22.00.

Mmmm

Arrivo, gli altri sono fuori dal portone, qualcuno della redazione di Ubulibri, qualche altro appassionato. Giuseppe Isgrò, il regista, esce con il foglietto degli invitati nello spazio-scantinato, mi guarda con gli occhi sgranati e dice:"Sei Renzo!", entriamo.

Fantastico. Scendiamo le scalette e siamo nel piccolo spazio scenico. Questi posti sono l'essenza stessa del teatro. L'anima, la vita.

 

PhoebeZeitgeistTeatro è un'associazione culturale milanese che produce spettacoli, eventi performativi ed espositivi, fa formazione teatrale attraverso laboratori e seminari nelle scuole e nella propria sala prove. Nasce dopo la messinscena di "Katzelmacher"di Rainer Werner Fassbinder; fra i soci fondatori Giuseppe Isgrò, il regista, e due delle interpreti di questo "Le quattro gemelle": Karin Freschi e Francesca Frigoli. Isgrò non ha ancora trent'anni, ma è un lucido e raffinato visionario.

Questo spettacolo com'è?

Beh innanzitutto la drammaturgia. Per averne la sensazione bisogna immaginarsi un omino che consuma le unghie scivolando lungo un ghiacciolo di quelli che non è ancora proprio caldo e hanno il gelo attorno, che, se ci metti la lingua, resta attaccata.

La non storia è semplice e di disperante comicità. Prima due gemelle, poi altre due, arrivano a trovarsi in un capanno in Alaska. Hanno droghe, denaro, gioielli. I perché e i percome sono inutili in questa storia del 1973, perché Copi vuole proprio lasciare registi e interpreti senza appigli.

Succede che per futili e diversi motivi, le quattro si ammazzano. Ma sono passati solo 10 minuti. Finirebbe tutto se non fosse che una alla volta, come replicanti, o divinità greche al contatto con la terra, le quattro riprendono vita. Si danno l'un l'altra della bastarda schifosa, si chiedono soldi, si drogano, si violentano, si picchiano, si ammazzano. Ma pochi secondi dopo, Lazzare contemporanee, resuscitano. Dieci, quindici, ennesime volte che fanno piombare lo spettatore nella disperante attesa di una fine che non arriva.

Non per lo spettacolo, ovviamente, giocato su toni antinaturalistici, come tipico del giovane regista, e come il testo stesso in fondo pretende. Ma per quella tensione alla conclusione di un fatto, di una storia, di un racconto, che invece è proprio quanto Copi vuole disintegrare: storia, racconto, finale.

Nessuna storia, mille racconti, nessun finale.

 

Anche la regia pare confermare questa lettura quando, come titolo di coda fa apparire una fluorescente scritta "Fine" seguita da tanto di punto interrogativo.

Copi, autore di fumetti, scrittore e drammaturgo argentino, è morto di Aids nell'87 a Parigi.

Per il Nouvel Observateur creò il personaggio di tratti piccolo borghesi ed ossessivi della "donna seduta", surreale interlocutrice di un pollo o un topo. I suoi disegni sono stati pubblicati anche su Linus. Collaborò con diversi giornali, e ci ha lasciato numerosi romanzi ed opere teatrali che si divertiva spesso ad interpretare, fino all'ultimo Una visita inopportuna, che aveva per protagonista un malato di Aids che veniva visitato dalla Morte.

L'omosessualità e la difficoltà di esprimersi furono alcuni dei motori di una vita d'arte che cercava fra le pulsioni alla ribellione e le frustranti castrazioni emotive di scardinare impianti comunicativi troppo lontani da un reale che diveniva sempre più complesso ma non accoglieva davvero la differenza.

Isgrò prende questo testo e lo affida alle quattro ottime giovani interpreti, fra le quali la Frigoli che conferma un talento di primo livello, ma brave tutte: assecondano questa ricerca che il regista, dopo la messa in scena ci conferma essere per lui una scelta definitiva, una sorta di passaggio del guado, di ricerca nei testi e nel teatro che il loro sito ricorda come "performance isterica", quello che ha per scena e come superficie di iscrizione il corpo sul quale il soggetto disloca un trauma originario esperito come incongruenza o mancanza.

 

Il teatro travestito di Copi non è altro che una configurazione visibile di questa soggettività. E quando leggiamo la frase di Marco Pustianaz tratta dal libro "Il soggetto "fuori di sé". Ovvero il godimento di essere isteriche" che recita più o meno "qui non si tratta di identificare chi sia il soggetto isterico, e curarlo. Si tratta invece di investire con la forza dell'isteria il discorso culturale egemonico di costruzione dei soggetti normativi", capiamo che lo spettacolo vuole e ricerca questo.

Isgrò lo cerca in un testo che, come tutti quelli con cui si confronta, traduce personalmente alla ricerca di un suono, di una musicalità, di un senso, o più spesso di un non senso che, come giusto sia a teatro, deve prima di tutto permeare chi lo interpreta e lo dirige.

Troppo diversi dal mordi e fuggi del teatro degli ultimi tempi, dall'approssimato e finto ricercare di molti, perché non si butti un occhio attento sul lavoro di questo gruppo. PhoebeZeitgeistTeatro è una bella e audace realtà di frontiera, sia di comunicazione che di ardimento scenico. E Le quattro gemelle è una deliziosa prova di questo assioma.

Alla fine resti lì, desolato e incattivito, in preda al delirio sballato, a sperare davvero che prima o poi muoiano sul serio, queste quattro bastarde schifose. Brave, bravi tutti. Speriamo presto in scena da qualche parte, e non per un giorno solo.

 

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