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LORETTA STRONG di Copi

 

Regia  Giuseppe Isgrò

Con  Margherita Ortolani

Suono e musiche originaliI Giovanni Isgrò

Scena e costume Olga Durdevic

Luci Giuseppe Isgrò, Giuseppe Marzoli

Oraganizzazione e consulenza drammaturgica   Ondina Granato

Immagine Giovanni De Francesco  

 

“Fare della ripetizione stessa qualcosa di nuovo; legarla a una prova, a una selezione, a una prova selettiva; porla come oggetto supremo della volontà e della libertà”.  

 

Gilles Deleuze, Differenza e ripetizione, Cortina Editore 2007.  

 

 

Note di regia

Giuseppe Isgrò

 

Loretta Strong è sola sulla sua astronave: un triangolo argentato.

“La terra è esplosa”, resta solo la rappresentazione, l’immanenza tragicomica del corpo dell’attore, della sua voce, del suo delirio isterico-onirico.

Loretta evoca altri colleghi astronauti, la sua amica Linda, extraterrestri e animali d’ogni genere. I topi che in realtà sono pipistrelli, i quali a loro volta sono pappagalli o magari venusiani o uomini scimmia della stella polare. O sono gli spettatori? Gli addetti ai lavori?

Loretta non esiste: esplode e si “rimette assieme da sola” – “sarà divertente rincollare tutte queste dita”. Loretta è in quanto si esibisce. Non può uscire dalla sua gabbia scenica. Loretta è percossa da interferenze, suoni elettronici, applausi da stadio, versi mostruosi di animali o di neonati di altri pianeti. Tutto è nella sua testa delirante, testa di drogata, di visionaria, di transessuale – di attrice?

Si è scelto quindi di evitare ogni oggetto scenico, legato all’immaginario che questo testo ha spesso scatenato: pupazzi, tazze del water, frigoriferi, mitragliatrici spaziali… in scena Loretta è realmente sola.

Loretta Strong è un’allegoria della solitudine dell’attore; la follia e l’assurdità del suo stare in scena per poi uscirne, il suo essere instabile e spaventato. Copi affronta senza troppo esplicitarlo (soprattutto se lo si confronta con altri autori dell’assurdo) queste tematiche fondamentali, le affronta con un’ironia indomita e corrosiva, con anarchica spregiudicatezza. Loretta è “una terrestre” orgogliosamente umana, è “l’ultima sopravvissuta”, il suo spazio scenico è mentale, la sua navicella trasporta un’invincibile furia immaginativa: “l’oro” che Loretta sta tentando di trasportare su altri pianeti, per seminarlo, coltivarlo, farlo esplodere!

 

 

Loretta Strong di Copi

Presentazione di Francesca Marianna Consonni per il Museo Maga di Gallarate

Luglio 2010

 

Il MAGA di Gallarate presenta una produzione PhoebeZeitgeistTeatro del tutto inedita e sorprendente: Loretta Strong, testo dell’autore argentino, naturalizzato parigino, Copi. Questo lavoro teatrale si inserisce nelle sale di un museo di arte contemporanea in maniera del tutto naturale e spontanea grazie ad alcuni elementi che sono anche i punti cardine e la fortuna dello spettacolo stesso: la sua immediatezza espressiva, la sua scena minimale e linearissima, il testo così profondamente attuale.

Loretta Strong, sola sulla sua astronave in missione nello spazio, è un racconto su quella particolare condizione di solitudine psicoattiva, ovvero capace di creare sentimenti, motivazioni, obiettivi, mondi; quella di Loretta è la capacità disperata di tendersi fino a spezzarsi nella ricerca di sè, degli altri, del raggiungimento di un fine anche se immaginario. Il suo isolamento non è infatti mai statico, Loretta è in costante comunicazione con entità indefinite che accoglie, respinge, seduce o raggira, continuamente invasa ed eroicamente disponibile al procedere o trascendere delle cose. Basti pensare che pur esplodendo a metà spettacolo essa continua la sua missione assurda di esistere, resistere al tempo, seminare il suo oro su un pianeta che non esiste.

 

Questa particolare visione dell’uomo in frammenti e della necessità di comunicare fino ad inventare l’interlocutore sono temi attuali e valori cardini della cultura postmoderna e delle sue derive. Copi è infatti un autore che in tutti i suoi lavori presenta personaggi completamente aperti, in una prossimità esasperata con tutto ciò che li circonda, in costante fusione, ibridazione, scambio con gli altri e con il mondo, colpiti, esplosi nell’identità. Questo spettacolo veniva realizzato alla fine degli anni Settanta da Copi stesso en travesti, che si aggirava tra il pubblico ripetendo ossessivamente “Pronto, Linda?”, frase che da il ritmo a tutto il testo e che ci sembra oggi paradossalmente normale quasi come se l’uomo esploso di Copi si fosse avverato.

 

Tutte le scelte del regista Giuseppe Isgrò sono direzionate a rivelare quanto questo testo ci riguardi tutti, direttamente. La scena è semplicissima e tutto l’hardware del teatro -luci e amplificatori- costituisce l’hardware dell’astronave di Loretta. Non c’è altro se non un triangolo argentato a terra che è insieme confine, spazio, scena, tempo. Loretta è a livello degli spettatori, gli va incontro, perché è così che lo stesso Copi vedeva il teatro: “quel che amo è avere il pubblico di fronte, poterlo spaccare come una barca. Si va avanti e il pubblico è sempre di fronte, come un’illusione ottica. Restare in scena come si resta su una barca. Bene in equilibrio”. Loretta Strong è una barca in piena tempesta tenuta puntata dritta sul pubblico dall’interpretazione incredibile di Margherita Ortolani. Quest’attrice sa alzare onde altissime: la sua interpretazione mantiene un equilibrio leggero poggiato con grazia su tutti i disequilibri possibili; realizza, con il suo corpo, tutta la scena, frulla e divora le prime file del pubblico. Occorre infatti sapere che questa Loretta non è affatto innocua: l’energia cannibalica dell’interpretazione e tutta la realizzazione di questo spettacolo sono affilate su questo obiettivo: seminare l’oro di Loretta in ciascuno di noi.

 

 

“L’anfetaminico Copi corre per il palcoscenico, reggendo il suo topo di peluche. Strilla, grida, piange,urla. Pronto? Pronto? . Si nasconde nel frigorifero, entra, esce. I contatti con la base non rispondono.

Interferenze. Equivoci. È su un’astronave che ruota intorno alla terra. O forse è solo il delirio e l’immaginario viaggio di una pazza, di una loca che ha preso troppe pasticche o che è troppo in là con il delirium tremens da vedere soltanto animali: pappagalli, coccodrilli, ragni e topo, come i Visitors. Raoul Damonte, conosciuto con lo pseudonimo di Copi, disegnatore, umorista, attore, regista, commediografo, scrittore di romanzi surreali, lo ricordo così: leggero e isterico, sull’esiguo palcoscenico del teatro San Leonardo di Bologna per una delle prime recite in italiano di Loretta Strong. Si conoscevano le sue vignette della donna seduta, pubblicate in quegli anni su Linus, e anche alcuni testi teatrali come Eva Peron (1969) o L’Omosexuel, ou la Difficulté de s’exprimer (1971). Ma quando lo si vide, piccolo, magrissimo, un folletto schizzato e imprendibile, fu una rivelazione. Poiché in Copi, nel suo teatro che solo gli accademici possono ancora definire surrealista, nei suoi fumetti incongrui, nei suoi romanzini deliziosi e folli, come Le Bal des Folles (1977), c’è non solo l’insegnamento di Alfred Jarry, ma la trasgressione, ben più profonda, di tutto ciò che il 68 ha rappresentato: la psichedelica, l’utopia, l’erranza, la rivolta contro ogni limitazione della fantasia, l’eccentricità dei riferimenti culturali, la follia come regno dell’immaginazione. Luca Coppola, che ne fu in parte traduttore annota: “Le creature immaginate da Copi, disegnate con un tratto ilare ed essenziale, e i suoi numerosi personaggi teatrali, hanno tutta l’arielesca anarchia della progenie degli Ubu, e anche quando parlano di merda o di cazzi, lo fanno con invidiabile leggerezza, come una tribù di angeli transitoriamente caduti in questo mondo”.

 

Pier Vittorio Tondelli, Un weekend postmoderno, Bompiani 1990.

 

 

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